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CENCELLE - SCORCIO
“Una notte mentre il pontefice Leone IV se ne stava, secondo il suo costume, presso il suo letto, a meditare, come al solito, su argomenti religiosi, in sogno fu trasportato a quello stesso luogo già visto, che distava XII miglia dalla città di Centumcellae ed a un certo Pietro, capitano delle guardie, mostrò come fosse presente corporalmente e per ordine dove, con l’aiuto e la sovvenzione dello stesso pontefice, avrebbe dovuto sorgere la città e le chiese e le porte. E poiché per la ristrettezza del luogo non si potevano costruire più di due porte, nella stessa arcana rivelazione mostrò con le proprie dita (dove avrebbero dovuto essere costruite). Fattosi poi giorno prese ad avere diversi perturbamenti a causa del sogno che aveva avuto.”
La nota che precede presumibilmente tratta, dal nostro Odoardo Toti, dal Liber Pontificalis di Leone IV, viene riportata sul suo volume “Centocelle 1997”, brano che ho trascritto letteralmente! Leone IV aveva già visitato il colle ove fu costruita Cencelle, e ritenuto luogo idoneo ed opportuno ove ricostruire una città per accogliere i pellegrini centumcellesi - dispersi per le campagne circostanti, a seguito delle continue scorrerie marine dei saraceni - dette l’ordine di procedere alla sua costruzione.
LA C.D. TORRE DELLA NOSTALGIA – SULLO SFONDO VISTA SU CENTUMCELLAE
CHIESA DI S.PIETRO – LA CRIPTA
LA CRIPTA DI S.PIETRO ADATTATA A CARCERE – SI NOTINO LE TACCHE SEGNATE DAL CONDANNATO SULL’INTONACO DELLA CELLA, PER ANNOTARE I GIORNI TRASCORSI
IL LABORATORIO DEL FABBRO
CIO’ CHE RESTA DELLA PRINCIPALE PORTA DI ACCESSO ALLA CITTA’
Il luogo conservava i resti di un centro etrusco, distrutto dai romani. Fu quindi abbastanza agevolato il progetto “leoniano”. Furono riutilizzate le fondamenta delle vecchie mura perimetrali, ed altri elementi per la costruzione delle abitazioni e dei luoghi di culto. Inoltre fu costruito un acquedotto che, da sorgenti di Monte Palano (Ripa Maiale) e dal Fosso Melledra, serviva a colmare un discreto invaso per la raccolta delle acque, posto alle pendici del Colle. Tutt’intorno alla Città, a perdita d’occhio, distese di campi consentivano una notevole attività agricola e pastorale, mentre varie strade congiungevano Cencelle ai Monti della Tolfa, Tarquinia, Viterbo e Centumcellae.
Inutile un discorso sulle cause che generarono confusione sul nome della città Leoniana con quello di Centumcellae; così pure fuorviante ricalcare il dibattito “storico” aperto sul periodo di tempo che i centumcellesi trascorsero sul “Colle” prima di far ritorno alla loro città marinara; quanto fuori luogo stabilire se la distruzione di Centumcellae fu ordita dal “papato”, per sue esigenze contro una certa tendenza “bizantina” della città, assoldando milizie “saracene”.
Cercherò sulle “ali” di una spicciola logica storica, per nulla “dotta”, di esaminare brevemente, quei momenti passati, e rispondere a quelle domande cui nessuno, a distanza di ben mille e duecento anni, potrà ormai rispondere compiutamente e chiarire le annose diatribe, i vari principi, pareri o punti di vista contrastanti.
presumibilmente il “trasporto” della Diocesi da Centumcellae a Leopoli (così doveva chiamarsi inizialmente la cittadina), la dolorosa diaspora dei cittadini stessi, dopo un’iniziale dispersione sulle colline retrostanti, ha favorito l’ingenerare di una certa confusione sui nomi delle loro due care località e la loro sovrapposizione: Centumcellae, Leopoli, Cencelle, Cincelle. Finché qualcuno, non per caso, nel momento del “ritorno”, distinse la località marinara da quella collinare chiamandola semplicemente con parole sue: civitas veccla, invitando la popolazione a far ritorno nella loro antica città, il termine prese il sopravento.
Più o meno un quarantennio fu il periodo trascorso dalla maggior parte dei centumcellesi sul colle di Cencelle, dal 854 all’889, e deve essere stata dura per la popolazione marinara adattarsi alla vita agreste. Ma le linee difensive papaline presero poi il sopravvento su una popolazione eterogenea dei briganti del mare: i saraceni (arabi, greci etc.). Uomini mal organizzati ma disposti alla predazione a costo della vita, armati di scimitarre e pugnali a lama fine e ricurva. Abili nel combattimento corpo a corpo, questi saraceni agivano speditamente a bordo di piccole ma veloci imbarcazioni, mosse da vele e remi e, mentre le vedette papaline assicuravano: “nessun nemico in vista”, nel lasso di un breve tempo appariva all’orizzonte un mare di veleggianti imbarcazioni mosse da vera gente di mare. Infestavano, costoro, i fiordi delle isole maggiori delle coste tirreniche, abitando baracche e capanne di legno. Giacché sembrerebbe assurdo che questi saraceni potessero gestire le loro scorrerie dalla madre patria. Li potremmo paragonare ai “popoli del mare” che circa mille anni a.C. occuparono il delta del Nilo e che, in seguito, dettero origine alle popolazioni mediterranee -Tursha (Etruschi?), Shardana (Sardi), Sakaleshu (Siculi), Peleset (Filistei, Palestinesi), Tjeker, Daunyu (Danai, Greci) e Akuasha (Achei) -.
Lasciamo al prof. Spinelli Livio, il chiarimento sul mandante della distruzione di Centumcellae, disposta sembra, dal papato, cosa che, tra l’altro, ho appreso soltanto da lui e che lo stesso si è riservato di discuterne i convincenti temi nel corso di una conferenza presso l’Università della Terza età di Civitavecchia.
Cencelle era racchiusa entro mura perimetrali di 700 metri c.s.. Mura elevate su cui si aprivano due porte e ben 7 torri di controllo, che coprivano la sicurezza su tutta la circonferenza della cittadina. Ben 7 chiese, di cui due entro le mura (San Pietro e San Giacomo), mentre 5 nella campagna circostante. Della cittadina non rimangono che ruderi, pittorici e significativi, spoliata più volte, per costruire casali agresti e da ultimo per ricostruire il villagetto con annessa chiesa della Farnesiana.
L’odierna passeggiata è apparsa giusta giusta per stimolare l’inappetenza dei convenuti, ed è risultata piacevole ed interessante. Ottimo ed abbondante, come al solito, il pranzo somministrato dall’Agriturismo della Farnesiana.
Vanì, 16-12-2012